romanzo

L’epica (anche un po’etica) del deviante: Sado Lesbo Rock di Filippo Pace

“Sado lesbo rock. Epica del deviante”, Filippo Pace
Editore: Bibliotheka Edizioni
Prezzo: 13,60 €, eBook: 4,99 €

Poteva essere una storia ambientata nella fumosa Londra, o nel Quartiere Pigalle di Parigi; percorrere le strade di Chicago o quelle di Gotham City. L’epica non ha luogo, non ha tempo: è messa in scena della fantasia di un popolo, dei miti e delle leggende che lo caratterizzano. Da questo punto di vista, Sado Lesbo Rock di Filippo Pace mantiene ciò che promette. Il crocevia di storie narrate da Pace sono già, in qualche modo, nel nostro immaginario e le storie dei protagonisti così estreme da essere quasi allegorie di altro.

A partire dallo Scorpione, protagonista da manuale, tormentato come tutti gli eroi: un killer professionista, intriso di un’umanità dolorosa che porta il lettore a identificarsi con lui: l’amore per Annabella ne svela tenerezze e fragilità, il senso del dovere che lo trascina in un’Odissea senza fine richiama i conflitti interiori che ognuno di noi, a vari livelli, vive. Fare quello che è giusto o fare quello è necessario?

Lo Scorpione fa sempre quello che è necessario. Attorno a lui vivono una serie di personaggi, talmente estremi da essere quasi maschere: la scelta dell’autore di attribuire a buona parte di essi uno pseudonimo “animalesco” – il che li identifica come membri di un gruppo – contribuisce a costruire il senso delle straordinarietà delle loro vicende, che scorre: e qui forse c’è il vero colpo di genio – in qualche anonima provincia italiana, forse un operoso nord est, forse la periferia di una grande città.

Ed è proprio in questa realtà italiana – che riusciamo ad identificare come tale solo per i nomi dei protagonisti e per quel velo di perbenismo che caratterizza così esattamente il comune sentire – che prende il via una catena di omicidi così sensazionali da non trovare posto neppure sui giornali perché, come presto sarà chiaro, rivelano perversioni e trastulli devianti di diversi colletti bianchi.

Un oltraggio al comune senso del pudore che fa parte del nostro comune sentire e che trova nel Fight Club al femminile “I pugni e le Rose” la sua perfetta espressione: donne bellissime e sensuali, addestrate per uccidere, che lottano per gli occhi di ricchi clienti. Sesso e violenza che fanno da sfondo al primo omicidio:  quello della sensuale e potente Kristine, la “vittima 0”, che nel corso della storia indentificheremo con la Mantide.

E qui si apre il primo filone della storia, quello della Casa nel Bianco Profondo, una sorta di casa per bambini smarriti dove gli abitanti, perlopiù ragazze preadolescenti, imparano le arti della lotta e a indurire il loro cuore. A unirle è una cicatrice a forma di spirale sulla caviglia e l’appartenenza a un gruppo militare che diventerà la loro famiglia. Tra loro si chiamano con nomi di animali. Un gruppo crudele ed esclusivo che prevede anche la presenza di uomini: una grande famiglia, nella quale possiamo intuire la presenza di più generazioni.

Con l’omicidio di Kristine, sembra propagarsi come un virus tra i membri della Casa oggi adulti e autonomi, la follia omicida: chi ucciderà chi? Lo Scorpione, primo dei membri della famiglia ad aver ricevuto l’ordine di uccidere, si troverà a propria volta nel mirino dei propri compagni, in una guerra dove il desiderio di appartenenza e la lealtà al gruppo di origine lotta contro un Sistema dove la prima regola è “Fai quel che ti viene detto, anche se non sai perché”.

Il secondo filone della storia è quello delle indagini ufficiali, ad un certo punto sospese per ipocrite ragioni e riprese per desiderio di verità dal Vicecomissario Vitale, un triste ma affascinante single dilaniato dal ricordo della propria ex. Vitale, assieme al Commissario Malerba, tenta di entrare in una storia che fin dalle prime pagine appare priva di appigli ad un mondo “reale”: cosa significano le cicatrici che sembrano fiorire all’improvviso sulle caviglie di tanti morti ammazzati?

Vitale, disarmato dalle istituzioni, cerca la sua strada con il goffo supporto di Elisa De Marzio, la maitresse de I Pugni e Le Rose: il giovane vicecommissario e l’ormai matura signora, asincroni, incapaci di comunicare, di fatto impossibilitati nel trovare la verità, appaiono tuttavia inseparabili fino ad una iperbolica fine, grottesca quanto i tentativi della De Marzio di nascondere l’incipiente senilità.

 Solo nelle ultime pagine di Sado Lesbo Rock sembra rivelarsi la spiegazione di tanti omicidi: un finale quasi biblico, che rievoca la decisione di certe divinità capricciose di ricominciare il mondo daccapo.

L’opera di Filippo Pace conferma il talento di uno scrittore che al di fuori delle favole dark lavora nel mondo della conoscenza: l’eleganza dell’eloquio e la capacità di mantenere in vita più storie nello stesso romanzo ne dimostrano la capacità di scrittura e la profonda conoscenza delle strutture narrative.

Sado Lesbo Rock è un libro che racconta del desiderio di ognuno di noi di trovare la propria casa, la propria famiglia: un sogno che non viene meno neppure quando la degenerazione della fratellanza genera mostri.

Lo chiamano Familismo Amorale: Pace sembra chiamarlo, in qualche modo, vita.

Standard
drammatico, romanzo, saggio

Imperdonabile: uno young adult molto poco per “young”

“Imperdonabile”, Chris Lynch
Editore: Il Castoro
Prezzo: 15.50 €


  • Scorrevolezza: 3/5
  • Divertimento: 5/5
  • Quanto ti prende: 4/5
    Tempo di lettura previsto: sei pause pranzo di quelle belle lunghe
    Da leggere insieme a: montagne di pancake e sciroppo d’acero

Capita, che dopo un periodo un po’ stressante si possa desiderare una lettura d’evasione.

Capita, magari, di trovarsi a bazzicare sulle pagine facebook di conoscenti un po’ più giovani e farsi trascinare dalla corrente, da slang che non si comprendono e cantanti che potresti ragionevolmente aver partorito.

Capita anche che da una cosa si passi ad un’altra e che per ragioni non ben chiarite tu possa trovarti in mano Imperdonabile, l’ultimo lavoro di Chris Lynch.

Chris Lynch, chi era costui?

A quanto pare, se non avessi abbondantemente doppiato l’adolescenza, conoscerei bene questo personaggio e le sue opere. Docente di scrittura creativa alla Lesley University, Lynch sarebbe quello che si suol dire un maestro della letteratura Young Adult, un genere nato negli anni ’20 del ventesimo secolo che pare concentrarsi su giovani dai tredici ai diciannove anni. I cosiddetti teenager, insomma. Genere letterario di tutto rispetto (annovera tra le proprie file successi epocali come Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo o Hunger Games), il filone Young Adult non mi aveva mai particolarmente incuriosito perché – beh – non ho più tredici anni (e neppure diciannove).

Avevo letto qualche anno fa Colpa delle Stelle di John Green, ma nel mio caso era colpa del battage pubblicitario per il lancio dell’omonimo film (bel libro comunque, ci torneremo): cosa mi aveva fatto pensare, quindi, che quel romanzo potesse interessarmi?

Credo che c’entri qualcosa il movimento #metoo, che tra il 2017 e il 2018 ci ha fatto interrogare per la prima volta, forse, seriamente, sul concetto di consenso: c’è una zona grigia tra l’abusante che ti punta la pistola alla tempia e il corteggiamento ma, incredibilmente, sembrava che nessuno se ne fosse mai accorto. Non c’è un Codice Comportamentale per difendersi dalle molestie,  non c’è un tempo per guarire definitivamente da un trauma.

Tuttavia mi restava il dubbio di quale fosse l’atteggiamento maschile in merito: quanta consapevolezza – o assenza della stessa – c’è in questa indeterminatezza?

Imperdonabile racconta proprio questo.

La storia di Keir Sarafian, un brillante e giovane calciatore follemente innamorato di Gigi, una sua coetanea. Nel corso delle pagine conosciamo sempre meglio Keir, suo padre Ray e tutto un corollario di personaggi che accompagnano il lettore in un gioco di specchi: Keir è davvero il bravo ragazzo che ribadisce di essere a ogni pagina o c’è qualcosa di più?

Parallelamente alla storia di vita di Keith – una spirale che corre precipitosa verso l’abisso – si sviluppano le accuse di Gigi, che sostiene di essere stata violentata dal giovane. Quale sarà la verità?

Imperdonabile è un libro disturbante, che scuote le coscienze. Una buona compagnia per una pausa pranzo, un po’ meno prima di scivolare nel sonno.

Standard
divertente, romanzo

Barney e il successo. Degli altri. Storia d’amore e di invidia

“La versione di Barney”, Mordecai Richler
Editore: Adelphi
Prezzo: 13 €


  • Scorrevolezza: 3/5
  • Divertimento: 5/5
  • Quanto ti prende: 4/5
  • Tempo di lettura previsto: sei pause pranzo di nozze
  • Da leggere insieme a: del buon cognac e magari del blu d’alvernia, o uno di quei formaggi francesi che il giovane Barney contrabbandava

[…] sto andando di nuovo fuori tema. Parlo di tutto, tranne di quello di cui dovrei. Ma questa è la vera storia della mia vita dissipata, che è fatta essenzialmente di oltraggi da vendicare e ferite da rimarginare. […]

Ci sono libri che rapiscono, libri che abbandoni esausto dopo 10 pagine, e poi ci sono loro: i libri CHEFFATICA.

I libri CHEFFATICA sono quelli di cui tutti ti hanno parlato bene, che sai che dovrai cominciare prima o poi: così li cominci, e la prima cosa che pensi è “EH?”. Se, come me, sei un lettore discretamente avvezzo ai mattoni, difficilmente ti arrenderai: andrai avanti, sperando che le cose cambino. Se sei anche piuttosto fortunato, riuscirai a trovare anche una chiave di lettura che semplificherà il tuo compito: ne La Versione di Barney, quando cominci ad arrenderti alle continue digressioni del protagonista, è quasi fatta. Proseguendo con la lettura, è possibile apprezzare lo stile letterario di Mordecai Richler e il suo innegabile talento MA, contravvenendo al titolo di questo blog, possiamo mettere subito le mani avanti:

Questo non è esattamente un libro da pausa pranzo.

Non so se per voi è diverso, ma la mia pausa pranzo è anche interrotta da qualche telefonata, da un paio di commissioni, (e infine!) mangi qualcosa. Mantenere alta la concentrazione per più di dieci minuti consecutivi può essere un problema, e il verboso Barney non mi ha mai facilitato il compito.

Per questa ragione, pur avendo provato a tenere fede al mio impegno e a portarmi il non proprio agile scritto (quasi 500 pagine) di Richler ogni giorno in borsa, ho rimediato poco più di un mal di schiena: tuttavia il libro vale decisamente il tempo che gli dedicherete, e ora vi spiego perché.

1) Perché non si è mai vista una storia che comincia così

Barney Panofsky, 67enne produttore televisivo, giunto alla soglia della terza età decide di scagionarsi una volta per tutte da un’accusa di aver ucciso Boogie, suo amico di gioventù e mentore. Un’arringa che presto si perde per strada, e si trasforma nell’autobiografia di un uomo che si ritrova, per la prima volta, solo davanti ai suoi fallimenti: i sogni di gloria mai realizzati, le aspirazioni intellettuali irrisolte, la consapevolezza di essere uno dei principali produttori canadesi di spazzatura televisiva. E, delusione tra le delusioni, l’abbandono del tetto coniugale di Miriam, la sua bellissima e amatissima moglie. 

Barney è il testimone di un’epoca straordinaria, ma è come se la sbirciasse soltanto dalla finestra: gli amici di un tempo sono perlopiù artisti affermati, a lui restano  un ottimo sigaro, del cognac e una casa di produzione denominata, non a caso, Totally Uneccessary Production. E un’accusa di omicidio, appunto.

2) Perché Barney è rosicone. Assai.

Diciamocelo: molti di noi sono rosiconi (me compresa), ma nessuno ama ammetterlo. L’erba del vicino è sempre più verde ma, chissà perché, mai per merito suo. Barney tendenzialmente invidia tutti: l’amico-nemico Cedric, per l’immeritato – a suo giudizio – successo letterario; Leo, le cui tele realizzate con materiali di fortuna raggiungono quotazioni astronomiche; il nuovo compagno della moglie, dotato di un’innata passione civile e beh, della sua ex moglie. 

Barney rosica anche quando racconta dei suoi più intimi sentimenti: il dolore per il suicidio della sua prima moglie Clara non sarà mai forte quanto le perplessità suscitategli dalla di lei arte, e così l’orgoglio di aver messo al mondo un figlio scrittore sarà abbondantemente stemperato dall’ultimo, fatale, dispetto che gli farà.

Barney è uno stronzo, dunque? Affatto: tendenzialmente mite, a volte anche un pò vittima, è un padre (a suo modo) amorevole, è un amico generoso, è capace di grandi gesti romantici. Il nostro è semplicemente un eroe umano, che parlando ad alta voce mette in scena i cattivi pensieri che molti di noi prima o poi hanno fatto su un amico di successo. Una sincerità catartica che ci riappacifica con le nostre spigolosità.

3) Perché tutti invecchiano. Anche le donne bellissime.

Barney non è più un uomo giovane, e dalle pagine del romanzo possiamo tranquillamente dedurre che non sia invecchiato benissimo. Decisamente poco atletico, incline ai vizi del fumo e dell’alcool, il suo è un corpo in evidente decadimento. Seguitato con crescente apprensione dalla sua segretaria e dalla figlia Kate, Barney si ritrova spesso e volentieri a dover dar prove del proprio vigore fisico quando invece i fatti raccontano tutta un’altra storia. Sono lontani i tempi di Parigi, delle fughe in treno all’inseguimento di Miriam, delle maratone di sesso.

Barney è il classico nonno che tutti guardano con circospezione chiedendosi se e quando cadrà: questo a dispetto della considerazione che Barney ha di se stesso, per giunta proprio quando ha deciso, finalmente, di scrivere le proprie memorie e di diventare “un vero scrittore”.  Barney, tuttavia, non è il solo a risentire il passare del tempo: la seconda moglie (della quale non si scoprirà mai il nome, ma sarà sempre definita “la seconda signora Panofsky), afflitta da evidenti problematiche di binge eating, ha sotterrato sotto strati di grasso la sua passata sensualità. Persino la splendente Miriam e i suoi meravigliosi occhi blu sono sacrificati al dio dell’età anziana: la nuca imbiancata, il bastone, un ictus fortunatamente preso in tempo ci dimostrano che sì, anche le belle invecchiano (non male come Barney, però).

4) Perché del Canada non si parla mai abbastanza

Pensate a tutti gli scrittori canadesi di vostra conoscenza. Fatto?

Se a voi, come me, il Canada ricorda solo lo sciroppo d’acero, South Park e Robin di How I met your mother, La versione di Barney vi introdurrà in un’atmosfera assolutamente inconsueta per i nostri schemi da lettori. Località, cenni di politica, costume: c’è un mondo oltre gli Stati Uniti. La versione di Barney non sostituirà la Lonely Planet, ma vi potrà suggerire le prossime ricerche su Wikipedia e, magari, la meta del prossimo viaggio.

Giustamente definito un classico contemporaneo, La versione di Barney rappresenta il libro giusto per chi vuole ridere ma anche commuoversi un pò. La narrazione è frizzante, ma vi avverto: le continue digressioni non agevolano il compito della lettura.

Standard
saggio, storico

La storia (dimenticata) dell’eroina in Italia

“Piccola città, una storia comune di eroina”, Vanessa Roghi
Editore: Laterza
Prezzo: 19 €


  • Scorrevolezza: 5/5
  • Divertimento: 0/5 (beh, insomma, è pur sempre di eroina che si parla)
  • Quanto ti prende: 4/5
  • Tempo di lettura previsto: circa 4 pause pranzo (ma anche molta concentrazione)
  • Da leggere insieme a: una camomilla e ad un’altra storia di “Piccole Città”: La più amata di Teresa Ciabatti

Correva l’anno 1990: l’Italia usciva con le ossa rotte dai “propri” Mondiali – che probabilmente ricordiamo tutti per Ciao, la mascotte più brutta di sempre – e una piccola Diana frequentava la terza elementare.

Un giorno entrammo in classe e leggemmo sulla lavagna l’ingiuria più infamante che in quegli anni ancora così acerbi bambini cresciuti a Bim bum bam e Cristina D’Avena potessero scagliarsi l’un l’altro:

“Ciccia (nome di fantasia) si fa LE SIRINGHE DI DROGA”

Le siringhe di droga, accanto a Saddam Hussein – del quale nulla sapevamo se non che era cattivo cattivo – e alla Juve, erano a quei tempi per noi la massima espressione della malvagità umana, l’incubo da cui difendersi: un pò come l’alone viola del celeberrimo spot “AIDS, se lo conosci lo eviti”. Con la differenza che di aloni viola in giro se ne vedevano pochi, mentre di siringhe ne trovavamo ovunque.

Col passare degli anni l’allarme droga (ricordate l’altro spot terrorizza bambini, “Chi ti droga ti spegne” e quei terribili occhi bianchi) si attenua e di siringhe se ne vedono sempre meno: sappiamo per certo che altri tipi di sballo si stanno diffondendo nel nostro paese, meno appariscenti, “relegati” in discoteche lontane da quella piccola città, Caserta, che è dove sono nata e cresciuta. L’eroina, insomma, non ci toccava più. Fino a quando non mi sono iscritta a Psicologia e il “tossicodipendente” è ritornato sui miei libri; ma, soprattutto, fino a quando il mio migliore amico delle elementari è morto di overdose. Giovane come me, di “buona famiglia” come me, di una piccola città come me. Dov’erano le tentazioni? Dove evidentemente erano sempre state, ma non le avevamo mai viste.

Il saggio – documentario di Vanessa Roghi , storica e ricercatrice nata nel 1972, cala le proprie radici in un’altra Piccola città, che non è Caserta ma potrebbe esserlo, in quell’armonia di intenti proprie della piccola provincia Italiana. “La piccola città non aveva mai scherzato con i suoi abitanti, così come non scherzerà mai. E le ore racchiudevano il magico contenuto della noia, della incapacità”: così l’autrice, ancora bambina, leggeva  su un disegno esposto in casa sua. Un ritratto di struzzi che negli anni sentirà sempre più vicino. La noia della provincia, il silenzio omertoso, il vanto – ma anche l’illusione – dell’essere culla di antichi e autentici valori. La Piccola Città della Roghi è Grosseto, il segreto nascosto è l’eroina: un segreto che toccherà da vicino anche l’autrice, il cui padre sarà arrestato per spaccio ed uso di eroina quando lei era adolescente ed ignara di tutto.

Un desiderio di far ordine nella propria storia – fortunatamente conclusasi più felicemente della cronaca nera dell’epoca – che diventa indagine sociale su un fenomeno che scosse le coscienze negli anni ’70, ma che oggi è di nuovo nascosto, chiuso nelle comunità terapeutiche.

L’eroina in Italia è sempre stata colpa di qualcun altro: per la Democrazia Cristiana, colpa dei Comunisti; per i Comunisti, colpa della CIA; per tutti gli altri – per chi rimaneva – colpa dei Capelloni che minavano alle fondamenta il sentire etico delle sante comunità italiane.

Dapprima ignorato, poi esploso con dirompenza, il fenomeno delle droghe in Italia – e in particolare dell’eroina – riflette e a tutti gli effetti l’evoluzione di una società, che dai sogni del ’68 si ritrova presto senza futuro, senza speranze.

La storia personale dell’autrice, già outsider per storia individuale in quanto figlia di separati,  si intreccia alla storia di un paese sempre meno innocente, sempre più disilluso: un passaggio culturale segnato dalle biblioteche familiari che si svuotano di testi culturali e si riempiono di letteratura di intrattenimento.

Un saggio che è un romanzo, la narrazione di una piccola storia piena di dolore.

Standard
romantico, romanzo

Giovani scrittori moderni ai quali chiediamo troppo poco

“Parlarne tra amici”, Sally Rooney
Editore: Einaudi
Prezzo: 17 €


  • Scorrevolezza: 5/5
  • Divertimento: 2/5
  • Quanto ti prende: 3/5
  • Tempo di lettura previsto: circa 2 pause pranzo
  • Da leggere insieme a: tartufi aromatizzati alla Guinness e un tè nero forte

Lo ammetto, quando si parla di giovani autori esordienti ho sempre un po’ di puzza sotto al naso. No, direi più che altro mi viene sempre da guardarli, guardare me e dire “e io che aspetto?”.

Generalmente recupero la lucidità quel tanto che basta da autoescludermi in fretta e furia dall’ingrato compito di pietra di paragone e riesco ad essere piuttosto oggettiva (tipo: ma quanto cavolo è bravo Jonathan Safran Foer?). Tuttavia ci sono romanzi che, con tutta la mia buona volontà, non riesco proprio ad apprezzare. E no, nonsonoinvidiosa, anche se la stroncatura che seguirà di qui a qualche riga non deporrà esattamente a mio favore.

Perché non puoi parlar male del libro che un anno fa scosse cielo e terra e pensare di potertela cavare così.

Eppure, devo dirlo (respira forte) Parlarne tra amici non mi è piaciuto per nulla. E dire che, per una volta, ho affrontato la lettura piuttosto scevra da pregiudizi: dopo decine e decine di commenti entusiasti credevo che in Sally Rooney avrei trovato colei che mi avrebbe restituito ogni fiducia negli autori giovani e che avrebbe messo al tappeto, una volta per tutte, ogni mio “eh, ma io con trentamila lire lo scrivevo meglio”.

Ok, Sally Rooney è oggettivamente brava. Scolasticamente brava (non per nulla, il testo è stato scritto durante un corso di scrittura).  Non manca nulla nelle 304 pagine del suo romanzo. C’è il sesso, ci sono le sinestesie e le ditina che battono nervosamente sulla tastiera, ci sono le labbra che si mordono. Ogni periodo sembra un Trattato su come i giovani adulti vivono in maniera incerta questi anni infelici, sospesi tra comunità virtuali e relazioni fluide. Frances, la protagonista del racconto, è un capolavoro di luoghi comuni sui giovani moderni: intellettuale, attraente ma non troppo, attratta dagli uomini ma anche un pò dalle donne. La nostra genia incompresa intreccia una relazione con un uomo che – guarda caso – a guardarlo da vicino non è interessante neppure un quarto di quanto lo sia lei (e pure a trovare interessante lei ci vuole del coraggio).

Cosa succede nel corso del libro? Nick (l’amante di Frances, sed etiam marito felice di Melissa), ama la nostra eroina come non mai, la lascia , la riprende. Bobbi, ex di Frances e sua attuale migliore amica, oltre ad ammiccare per tutto il libro e lasciarci intendere di essere una gran figona, non fa molto altro.

Spazio infinito viene lasciato alla Divina Commedia scritta e riscritta da Frances e Nick tramite e-mail. “L’amore ai tempi della nostra generazione?” Forse. Ma è come se quel continuo strizzare l’occhio ai nuovi media, lasciar intendere pagina dopo pagina che “Ehy! Io so flirtare su whatsapp!” dopo qualche pagina mostrasse inesorabilmente la corda.

La verità è che senza le infinite, estenuanti sessioni di messaggistica tra i protagonisti, la storia si ridurrebbe a pochissime pagine, e ci troveremmo di fronte a verità mai esplorate, tipo “Uau, esiste il tradimento!”, “Ma lo sai che esistono i colpi di fiamma?”, “A volte non ti lasciano per comodità”, e così via.

Dalle foto che girano di Sally Rooney vedo una bella ragazza, una di quelle che sente di dover dire qualcosa di profondamente ispirazionale non appena apre bocca. Il maglione largo, lo sguardo un po’ di sbieco, le riflessioni sui massimi sistemi a piè sospinto… Oh, un’esistenzialista francese! (è irlandese, in ogni caso).

Ti aspetti di vedere Sally e vedi la sua Frances, ma soprattutto ti fermi a pensare e scopri che ha 27 anni.

Ventisette. Non quindici, non diciotto. Siamo di fronte ad un’adulta, una che può ragionevolmente avere un piano pensione, un lavoro. Non una bambina prodigio della penna, ma una donna che, intelligentemente, ci racconta quanto sia deviata la nostra generazione: e lo fa con una dissezione stilistica così glaciale da non appassionare neanche un po’.

Quest’anno è uscito Normal People, di successo ma non come il precedente. Credo francamente che me lo perderò.

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divertente, poliziesco, romanzo

La vita “scoppiettante” di Allan Karlsson

“Il Centenario che scappò dalla finestra e scomparve”, Jonas Jonasson
Editore: Bompiani, Collana: Tascabili narrativa
Prezzo: 12€


  • Scorrevolezza: 5/5
  • Divertimento: 5/5
  • Quanto ti prende: 4/5
  • Tempo di lettura previsto: circa 5 pause pranzo
  • Da leggere insieme a: un kanelbulle (tipico dolcetto svedese alla cannella), un caffè, e dei buoni amici

Anno 2005: un vecchietto tremolante e dalle pantofole impregnate da un inconfondibile sentore di urina (a una certa età la mira è quella che è, quando si va al bagno) è nella sua stanza: di lì a poco la casa di riposo nella quale vive gli tributerà tutti gli onori dovuti al centenario che è appena diventato. Se fuori i preparativi si scaldano, Allan prende freddamente, lucidamente, la sua decisione: non morirà in quel luogo.

Il tempo di scavalcare – non senza qualche timore – la finestra e Allan Karlsson è fuori: i suoi passi sono lenti, ma non gli è difficile far perdere le sue tracce.

Anno 1905: una femminista e un socialista mettono al mondo il piccolo Allan Emmanuel Karlsson, reso presto orfano dalle bizzarie del padre e da una madre che seguì poco dopo l’esempio del marito. Quindicenne, incolto ma dalla risposta prontissima, Allan scopre di avere un talento assai particolare che, come spesso capita, “esplode” in tutta la sua utilità dopo qualche anno.

Vivono due Allan diversi – quello dei primi anni duemila e quello che, nella sua lunga vita compendia, letteralmente, l’intera storia del secolo scorso – ne “Il Centenario che scappò dalla finestra e scomparve” – opera prima del giornalista svedese Jonas Jonasson. Uniti dalle buone maniere, una fiducia nel destino quasi cieca e da una simpatia contagiosa, i due protagonisti della storia (o meglio Allan il centenario e il suo omologo del passato) sfidano continuamente i lettori con le loro avventure: spericolate, folli, dall’esito – apparentemente – drammatico. Tuttavia c’è sempre il colpo di scena – provocato da cose o, più spesso, da una delle tante persone che Allan ha conosciuto nella sua lunga vita – pronto a ribaltare le carte in tavola.

Allan è un ottimista che segue l’istinto: da giovane, la fame di novità lo spinge a girare il mondo (e a entrare in contatto, tra gli altri, con Francisco Franco, Lenin, Charles De Gaulle e almeno tre presidenti americani); a cent’anni decide – sfavorevolmente colpito dalla sua maleducazione –  di sottrarre la valigia lasciatagli in custodia da un giovane scontroso, che si scoprirà essere il pericoloso delegato di un’organizzazione criminale.

In neppure una settimana, la fama di Allan si diffonde per l’intera Svezia: da indifeso vecchietto, probabilmente rapito, si trasforme nelle narrazioni dei cronisti in un efferato omicida. Alle sue calcagna, il Commissario Aronsson e il GIP Ranelid, ben intenzionati a non farsi fregare da un anziano signore apparentemente scomparso nel nulla, così come lo sono le presunte vittime. Accanto ad Allan compare un interessante trio di personaggi: il ladruncolo in cerca di gloria Julius, il quasi laureato Benny, la ruspante Gunilla e i suoi particolari animali domestici.

Le vicende del presente – surreali e ironiche – si alternano alle narrazioni del passato che, come vedremo alla fine, è destinato a tornare. L’intero libro – una classica commedia degli equivoci – è esilarante: personalmente ho riso fino alle lacrime alle ultime pagine, quando finalmente Ranelid riesce a incontrare Allan e la sua gang, in uno degli interrogatori più divertenti di sempre.

Il libro, edito in Italia da Bompiani nel 2011, ha ispirato nel 2013 un film omonimo e ha ricevuto un’accoglienza piuttosto calorosa nel nostro paese. Merito di un titolo accattivante e di un’immagine di copertina che non lascia indifferenti: un anziano signore travestito da maiale con un candelotto di dinamite nel taschino (so cute!). Il contenuto, tuttavia, è anche meglio.

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